Naima Morelli

Archive
Tag "teknemedia"

1ff

There is a mesmerizing Patti Smith’s song I used to listen to when I was in my teens. It’s called “Land” and tells – in a very surreal way – the story of this guy called Johnny. Since the chord progression wasn’t too complicatedly, I quickly learned to play it on the guitar. There was a particular line that made me pretty excited when I sang it. It was “I hold the key to the sea of possibilities”.

When I was seventeen I had a number of small abilities, but very little how-to knowledge.
My guitar practice alone branched off into my folk Neapolitan repertoire, my intimate Carla Bruni-like songs and my love for punk rock. These three aesthetics were not conflicting to me. That was confirmed by reading on a magazine that Norah Jones also had a punk band. I thought, if she does it, why I shouldn’t? (Well, if you have ever heard me singing and playing, the answer is pretty straightforward).

Way before I would learn the position for a E chord, I was making been comic books. Since I was born, I have never stopped drawing and creating stories. As often happens, I started making comic books since I was in high school and my school mates were my first readers. Never in my life I considered to stop that. Then of course, there was the writing. I was that annoying kid asked by the teacher to stand up and read her essay out loud. I didn’t really like to do that, mostly because my pulp Tarantino-confronts-Romero-on-the-theme-of-abortion like essays were meant to be read with a little verve. Which I completely lacked of . Anyways, at eighteen I started writing for an art magazine and a number of rock and general publications. Around the same time, I started covering every blank spot I could find in the city with graffiti. Man, that was real fun!

Read More

artapart

It’s been two years since my collaboration with Art a Part of cult(ure) began. My first article was about the japanese artist Masachi Echigo, you can read it here.

I’ve met Art a Part director Barbara Martusciello in a gallery in Piazza di Spagna, she was doing an interesting series of lectures about contemporary art.
At that time I already wrote for the magazine Arskey and the webmagazine Teknemedia, but I wasn’t very happy with them because they give me sort of limitations of style and criticize the artists was totally forbidden.

Read More

Luce riflessa, luce artificiale, luce che svela, luce che permette la vita.

Negli spazi della Galleria Locarn O’ Neill a prima vista ci sarebbe da confrontarsi con una scala di grigi 8 bit, che sorpresa allora quando lo spettro luminoso, proprio come una presenza spiritica, appare fugacemente in tutta la sua fantasmagoria.

Si sa che, fin dagli anni novanta, il gallese Wyn Evans, ha cominciato ad interessarsi a quelli che sarebbero diventati gli elementi fondanti della sua ricerca , ovvero un’analisi della percezione, della comunicazione e del linguaggio. Una delle sue prime intuizioni è stata quella delle “sculture di luce”, lampadari o filamenti luminosi, responsabili di più di una scotoma certo, ma anche di grandi coinvolgimenti emotivi, senza accantonare il lato concettuale, seppur anch’esso un po’ romantico (i comandi trasmessi ai computer che regolavano l’accensione random delle illuminazioni, erano basati su traduzioni di segnali morse ricavati dai testi di poeti tenuti in grande considerazione dall’artista, come William Blake, Guy Debord, Maurice Marleau-Ponty).

Lo scorso aprile abbiamo visto una di queste sculture dal titolo “I=N=V=O=C=A=T=I=O=N (I call your image to mind)” al Palazzo della Triennale di Milano, dove l’installazione composta di luci al neon era sospesa ad oltre6 metridi altezza.

I “New Works” invece, questi nuovi lavori di Cerith, non hanno un legame ben preciso tra di loro, si possono vivere come lente scoperte, a patto che il fruitore sappia stare al gioco, diventando un attento esploratore.

La scelta di imprimere argento su argento riproduzioni di massa, in questo caso addirittura fotografie giapponesi prese da riviste anni settanta fa si che, viste frontalmente come si è solitamente abituati, esse siano indecifrabili.

Il fascino di questa operazione sta nell’intuizione da parte di chi guarda che non si tratta di una superficie muta, ma che contiene un segreto da svelare, una verità che si intravede a bagliori, come delle gambe femminili sotto una gonna di veli sovrapposti.

Solamente spostandosi lateralmente infatti, solamente in un punto preciso per ogni lastra, apparirà chiara l’immagine. E la pudicizia nel celare queste fotografie rappresentanti scene di erotismo omosessuale da giornaletto porno con qualche pretesa, crea una sorta di stupore che porta ad un’inevitabile riflessione;

Si tratta di un semplice straniamento seducente, o forse il compito dell’artista è recuperare con la delicatezza della poesia la crudezza dell’immagine mainstream, riabilitare l’erotismo, di qualunque tipo esso si tratti, in una dimensione che non sia quella volgare e spiattellata persino in televisione nelle fasce orarie protette?

L’idea che sia in ballo qualcosa di profondo emerge dalla scritta a neon di fronte alla parete “Soffro per voi, ma come fate?”. Facile che salgano alla mente gli incisi dell’”Edipo Re” di Pasolini, al quale non a caso lo stesso Cerith nel novantotto ha dedicato un lavoro, fuochi d’artificio sulla spiaggia di Ostia, selezionando stralci di dialogo proprio dalla pellicola.

E’ con un senso di fatalità nell’animo quindi, che rivolgendosi a destra si incontra l’opera dal significativo titolo “Untitled (Perfect Lovers +1)” , tre orologi da parete perfettamente sincronizzati, i quali richiamano una visione contemporaneamente metafisica e futuristica dell’amore, del tempo del cuore, del tempo attuale delle relazioni nella vita moderna, in un triangolo che non cessa di comunicare l’inquietudine della precisione e del calcolo.

Non è finita. Cerith modifica l’ambiente della galleria con delle colonne specchianti, il connubio perfetto tra identità e luce, chiamando in causa una volta in più quest’ultima a definire le lettere tagliate nella carta, in un progetto di comunicazione che coinvolge altre opere realizzate stavolta con l’inchiostro nero.

E infine luce che dona la vita, come nell’opera che vede issate su due di tre colonne a specchio un cactus e un’orchidea, nutrite da rimbalzi luminosi.

Ancora tre.

E ancora viene da specchiarsi e riflettere su sé stessi come sotto uno spotlight.

 

Naima Morelli

 

30 September h 6.30 p.m.

Galleria Lorcan O’Neill
via Orti D’Alibert, 1e Roma

(pubblicato su Teknemedia, ottobre 2009)

Read More

Sarà anche inserita all’interno del Festival Internazione della Fotografia di Roma, ma la mostra “Il teatro dell’effimero”, comprensiva di più di trenta scatti che ripercorrono l’attività di Giuseppe Desiato dal ‘60 al ‘78, è molto di più.

Forse.
Ecco, la prima impressione è di smarrimento.

Bisogna prendere le foto esposte per fotografia vera e propria, imbattendosi così in istantanee strappate ad un mondo onirico, oppure bisogna vederle come documentazione delle perfomance messe in scena da Giuseppe Desiato?
E’ questo il bello, e forse si tratta proprio la stessa cosa di cui ci parlano le donne, gli uomini, i bambini e i manichini un po’ sfocati dentro le loro cornici: la fluidità delle cose.

Read More

Svjetlan-Junakovic-Penguin-Pips-207481

E’ il Palazzo delle Arti di Napoli ad aprire le porte alla prima mostra monografica in ambito italiano dell’artista croato Svjetlan Junakovic.

Fin dal titolo “Il circo volante di Svjetlan Junakovic”si palesano chiari gli intenti ludici dell’artista, la cui opera è stata sempre caratterizzata da un approccio giocoso alla trasfigurazione della quotidianità. La voglia di libertà lo porta ad uno sconfinamento tra materie tematiche e linguaggi differenti, con una strizzata d’occhio ai grandissimi dell’arte del passato (specialmente quelli più vicini alla sua sensibilità; sono infatti ricorrenti riferimenti alla “danza” di Matisse e alle tematiche circensi di Picasso).
La mostra si può grossomodo suddividere in due parti, distinte per stile e tematiche.

Read More