Naima Morelli

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April, 2009 Monthly archive

 

“Allora?”

Il guardiano dell’Uccelliera di Villa Borghese rivolge la stessa domanda a tutti i visitatori che gli sfilano davanti verso l’uscita, sia a quelli che davanti al Ratto di Proserpina dentro l’adiacente Galleria Borghese hanno detto: “Certo stò… Bernini, sta scritto Bernini, non leggo bene… sapeva scolpire abbastanza bene veh?” “Si si… ma Caravaggio è il migliore comunque qua dentro!”, sia ai turisti che non hanno voglia di perdersi in lunghe spiegazioni madrelingua, sia ai colti amanti dell’arte venuti appositamente per visionare il lavoro di Hans Op De Beeck.
Trattasi della terza edizione di Committenze Contemporanee, progetto che vede in sinergia la Galleria Borghese, il MAXXI e l’Unicredit Group, al fine di promuovere l’arte contemporanea e spingerla a creare opere nuove e originali.

La domanda del custode dell’Uccelliera invece, lui che ha accettato questo lavoro aspettandosi per la verità di aver a che fare con variopinti pennuti, è chiara: “Cosa diamine c’entra Hans Op de Beeck con il Correggio?”
Essì che bisogna farsela questa domanda, dal momento che il titolo della mostra è proprio “Hans Op de Beeck – In silenziosa conversazione con Correggio”

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Alcune volte è difficile parlare di un quadro, o anche solo di uno schizzo incompleto, specialmente se l’autore non è il ritrattista di Piazza Navona ma Francis Bacon, quindi uno degli ultimi agenti tellurici della pittura, magnitudo 8 sulla scala Richter.
Volendo citare gli autorevoli anonimi dei baci perugina, o chissà quali pubblicitari malpagati al soldo di qualche prodotto da vendere alle masse emotive: “Le parole non bastano a descrivere un’emozione”

Diciamo subito invece che i movimenti della performance di Forsythe sono evocativi già di per sè, anche senza riferimenti di sorta; la gabbia, il prigioniero e il ribelle.
Se non ci fosse stato il disegno di Bacon a veicolare l’interpretazione, avremmo tutti potuto interpretare la coreografia sul fondo bianco come La Ricerca.
La Ricerca continua e spasmodica dell’artista del filone da esplorare, di un senso da trovare, una linea da inseguire. Questo divincolarsi nel mondo e contorcersi alla ricerca della verità, acchiapparla solo per un attimo, fuori dal limitato spazio vitale assegnatogli, e poi persa ancora, e ancora inseguita. Su uno, anzi tre, visti da tre punti di vista diversi, maxischermi, invece che al volante di un’automobile a cercare “la cosa” come dice Dean Moriarty in “Sulla strada”.

Ma stavolta ancora prima del disegno (trattasi di un autoritratto di Bacon , così come indicato sulla targhetta, o del ritratto incompleto del suo amante George Dyer), riprodotto in una teca alle spalle dei tre schermi, è il titolo a fungere da chiave interpretativa.
L’opera si chiama: “Retranslation”.

Vi siete mai innamorati tanto di qualche opera d’arte tanto da averla voluta fare voi?
Probabilmente, se sei un’artista, non puoi limitarti a guardarla, ti sentirai sempre separato da tanta bellezza, o se non è bellezza è di certo qualcosa di conturbantemente bello, e ti senti in dovere di farne qualcosa – copiarlo d’altronde ti sembrerebbe inutile, sterile. E allora, con il vocabolario del proprio linguaggio artistico, lo si traduce. Tradotto nel proprio universo poetico, nel proprio tempo; mettete via quel Garzanti, stavolta ci affideremo all’ultima edizione del Peter Welz – William Forsythe.
Compito in classe alla Galleria D’arte Moderna di Roma, oggi si traduce Bacon.

Due parole sui traduttori, in combutta dal 2004; il tedesco Peter Welz è uno scultore e video artista, concentrato sul corpo e sul suo movimento (da vedere anche la personale dedicatagli dalla Galleria Fumagalli di Bergamo, dal 10 ottobre al 30 novembre), l’americano William Forsythe è invece uno dei più famosi coreografi contemporanei. Questa loro opera, esposta alla GNAM dal 3 ottobre, Giornata del Contemporaneo, è già transitata nel 2006 nelle stanze del Louvre di Parigi dove ha ricevuto un’entusiasmante accoglienza.

Trattasi di tre schermi di tre metri e mezzo per cinque, come grandi tele, sulle quali, inquadrato da diverse angolazioni, si agita il performer Forsythe, munito di scarpe con la punta in mine di piombo tali da lasciare tracce dei propri movimenti sul pavimento bianco. Gli itinerari tracciati da Forsythe riprendono perfettamente il dinamismo delle linee nello schizzo di Bacon, in una visione estremamente coinvolgente.
Una ritraduzione che mescolando sinesteticamente danza, pittura e video attende perfettamente all’idea di arte espressa da Bacon: “Nessuna illustrazione della realtà, ma creare immagini che siano un concentrato della realtà e una stenografia della sensazione”
E al diavolo gli anonimi dei baci perugina.

Naima Morelli

 

Pubblicato su Teknemedia 2009

 

PETER WELZ / WILLIAM FORSYTHE
Retranslation|
Final Unfinished Portrait (Francis Bacon)|figure inscribing a figure
3/25 ottobre 2009
Galleria nazionale d’arte moderna
Viale delle Belle Arti, 131

 

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I fiori del male si studiano nelle scuole.
Si studia quanto scandalo suscitò il volumetto di poesie alla sua uscita e quanto erano provocatori gli argomenti proposti, mentre contemporaneamente gli alunni nell’aula sbadigliano, perché sono in un banco, perché una professoressa gli sta spiegando un poeta, già bello e crepato tra l’altro, ma in fin dei conti poco importa questo, non è che si interessino ad Umberto Eco solo perché è vivente, forse alle ultime vicissitudini musicali dell’idolo tv Marco Carta, ecco, quello forse si, oppure all’uscita imminente dell’ultima versione di GTA, il nuovo fortissimo videogioco, o magari, volendo proprio tirare in ballo la letteratura, il nuovo libro di Moccia, che quello si che ci fa sognare, altro che Baudelaire!

Va bene, ok, non tutti i GGGiovani sono così, quindi se voi che leggete siete dei ragazzi e vi siete sentiti offesi, rallegratevi! La vostra virtuosità nel soffermarvi su letture più edificanti risalterà più fulgida che mai per contrasto. Resta il fatto che seppure voi non vi considerate così, la maggior parte dei vostri coetanei lo è, e infatti tutti in quella classe, tranne forse chi era in bagno quando la professoressa di francese scriveva lo schemino alla lavagna (semmai lui si farà prestare il quaderno dall’amico) tutti quanti ricopieranno lo schema, trascrivendo tutte quelle parole chiave che gli faranno ricordare la poetica dell’autore: Scandalizzare Il Borghese, Provocare La Società, Poeta Maledetto, poi a casa a imparare sistematicamente la lezione, il giorno dopo essere interrogati e basta, la prossima settimana tocca a Rimbaud.
Così è transitato Baudelaire per il cervello di un adolescente, così ne è fuoriuscito, ed è già tanto se da grande, quando il poeta gli verrà nominato da qualcuno che ne sa meno di lui, potrà dire, se colto da un sussulto di sincerità “ah si…lo studiai ai tempi del Liceo…”, più probabilmente si limiterà ad annuire.

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Potrebbe essere solo una posa, questo è vero, ma d’altronde quando si sceglie di fare l’intellettuale alternativo e ci si riesce pure, non è  categoricamente ammesso soddisfare le legittime aspettative di nessuno, né del più accanito fan né del più severo critico.
Infatti, ecco che vediamo che quanto più i critici musicali e gli ammiratori si accaniscono a dare del “poeta” al proprio beniamino, con la chiara intenzione di fargli un complimento, tanto più il beniamino stesso rifiuta sdegnoso la definizione.

A parte il fatto che i fan non hanno un minimo di buon senso; basti pensare che chiamano poeta pure Ville Valo degli HIM che certo, come musicista sa il fatto suo, sicuramente ha un’ugola d’oro, senza ombra di dubbio è un gran bel ragazzetto, ma in quanto a ispirazione omerica stiamo messi male. Chiariamoci: niente in contrario a continuare ad utilizzare i soliti ritriti concetti legati a amore e morte e farlo anche in maniera abbastanza banale, e d’altronde lo stesso cantante degli HIM non ha mai avanzato nessuna pretesa, quindi il problema non si pone per nessuno! Insomma, chissenefrega se sotto i video di YouTube le ammiratrici in fregola, solitamente ragazzine che non superano i diciannove anni, scrivono di Ville “Che uomo, che poeta” (“com’è sexy” “me lo farei proprio” etc. etc.) , problemi loro, quelli sono i loro orizzonti, probabilmente lo scrivono anche di Bill Kaulitz sotto i video dei Tokio Hotel (dove ad ogni “che uomo” segue un’inevitabile, oramai prevedibile “Perché? E’ un’uomo?”), ma di questo non sono sicura perché francamente non ho mai sentito l’esigenza di andare vedere un video dei quattro marmocchi tedeschi.

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Un autore di fumetti ha vita più semplice di un regista.
La sua matita può ingaggiare immediatamente come protagonista, senza bisogno di telefonate e belle parole di persuasione, l’attore prescelto, vedi Dylan Dog- Rupert Everett, Jolanda d’Almaviva- Senta Berger, Valentina- Louise Brooks e tanti altri. Inoltre può ricreare con il solo costo di un po’ di mina di matita gli effetti speciali più dispendiosi e, cosa più importante, se ne ha le capacità necessarie, può realizzare esattamente quello che ha in mente, senza dover contare su altre persone che, in modo più o meno considerevole, influiscono sul risultato finale.
Insomma, un mucchio di vantaggi se non fosse per una deficienza fondamentale: la musica.

E’ la dura realtà; niente colonne sonore per i fumetti, nonostante, da Julia a Gea fino ad arrivare a manga come Black Lagoon, i personaggi canticchiano testi di canzoni che lo sceneggiatore provvede a citare al margine della vignetta. Un’escamotage ingegnosa, chi lo nega, ma di sicuro non è la stessa cosa che sentire il pezzo con le proprie orecchie. Oltretutto non sempre il lettore conosce brano!
E allora com’è che il rapporto tra musica e fumetto si fa sempre più stretto?

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La trinità si è incrinata, e quando si parla di trinità in certi ambienti non si intende Padre Figlio e Spirito Santo, non si intendono nemmeno improbabili film con Bud Spencer e Terence Hill, diamine! Si intende l’essenza, che poi potete chiamarlo mito come potete chiamarlo clichè, ma sono solo fatti vostri; Sesso Droga & Rock’n Roll è come Pompeo, Crasso & Cesare, come Marco, Lepido & Ottaviano!

E’ incontestabile. I triumvirati si sciolgono , e allora perché dovrebbe essere diverso per la droga (che fa male più di Crasso), il sesso (che deconcentra più di Pompeo) e il rock’n roll (vale a dire Cesare, il più importante). Poi Cesare venne pugnalato ventitrè volte, e pure dal suo figlio adottivo, ma per scaramanzia non spingiamoci troppo in là con le metafore.

A rendere le droghe sempre à la page ci sono gli onnipresenti alfieri della perdizione Doherty e Winehouse, che con le loro scorribande suppliscono alle mancate trasgressioni di tutte le altre band salutiste, vegetariane, macrobiotiche.
Droga a posto allora, per il momento. E al sesso chi ci pensa?

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