Naima Morelli

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zabetta

“Incalzatrice della storia Freno del tempo Tu Bomba / Giocattolo dell’universo Massima rapinatrice di cieli Non posso odiarti”

Correndo giù per Via dei Mille nel caldo di un aprile napoletano del duemilaundici, cercando di arrivare al Molo Beverello in tempo per prendere l’Aliscafo dell’una e cinque, vale a dire essere a Sorrento per le due meno un quarto circa, ecco in questa corsa (perché si sa che il movimento fa arieggiare il cervello, purchè non vada in iperventilazione) le immagini della mostra di Zabetta si sovrappongono, si alternano in rima baciata, alternata, incrociata e slogata ai versi di “Bomb” di Gregory Corso.

Sulla rampa di legno vigilata dai Vucumprà, a fianco al Maschio Angioino, inevitabilmente parole e immagini sono già tutta una pappetta, sbatacchiate come un frullatore nella mia testa, non resta che sedersi sull’aliscafo e fare un po’ di ordine.
Dunque, Coda Zabetta non penso proprio che abbia scritto una lettera d’amore alla Bomba, quello è stato Corso. Piuttosto quello di Coda Z. si tratta di un lavoro ordinato che ha condotto a un risultato efficace, puntuale e profetico, come ci hanno tenuto tutti quanti a rimarcare con occhi da Cassandra color acque di Mergellina, alludendo chiaramente alla recentissima tragedia nucleare giapponese.

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In qualche caso si è trattato di affrontare all’andata un mare burrascoso in aliscafo e un altrettanto traumatico ritorno in circumvesuviana, ma i pur strazianti sussulti, cigolii e stridii di un treno che sembra sempre essere sul filo del deragliamento, non si sono rivelati bastevoli a dissolvere nella tensione la dolce dimensione-illusione anticoromana che poi era la meta del viaggio.
Il  titolo scelto per la mostra ospitata dal Museo Archeologico di Napoli è “Alma Tadema e la nostalgia dell’antico”, una spettacolare rassegna di artisti di fine ‘800 capaci di far rivivere in pennellate vita quotidiana e antichi fasti di un mondo del quale non rimangono che rovine e le testimonianze pompeiane. Questi artisti lavoravano organizzandosi dei grossi archivi fotografici di pezzi originali, molti dei quali sono attualmente conservati all’interno dello stesso Museo Archeologico che, con un operazione di grande interesse, ha deciso di esporli a fianco dei quadri che li ritraggono.
L’esposizione è intitolata al pittore olandese adottato dell’Inghilterra Sir Lawrence Alma Tadema, artista fino ad ora ingiustamente poco considerato in Italia. In realtà, girando per le sei sezioni allestite si fatica a ritrovare i quattordici quadri promessi.
C’è da dire però quei pochi pezzi esposti, probabilmente neanche i più rilevanti, sono spettacolari.

Dalle grandi tele impeccabili nell’accostamento cromatico, descrittive senza perderne in poesia, precise e evocative, ai piccoli acquerelli e oli (uno su tutti, “la scala”, tavola oblunga e stretta in una cornice dorata, un raffinato oggetto-idolo  per cui perdere la testa) tutto in Alma Tadema ti dà l’impressione di affacciarti alla finestra della storia.
Chi ha avuto modo di poter ammirare i suoi quadri solo in riproduzioni certo non rimarrà deluso. D’altronde fino ad ora un Alma Tadema così non si era visto in Italia, e chissà quando accadrà ancora…

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